La gestione dei bias nelle organizzazioni è uno degli argomenti più critici e al contempo sottovalutati nel contesto aziendale odierno. L’idea che tutti noi siamo influenzati da pregiudizi e scorciatoie mentali è tanto semplice quanto potente ma spesso viene trattata come un argomento puramente teorico, come se fosse una materia scolastica da studiare e poi archiviare.
In realtà, è un aspetto preponderante e apparentemente silenzioso con cui ogni leader e ogni membro di un team si confronta ogni giorno, anche senza rendersi conto della sua presenza. Eppure, riconoscere e comprendere come funzionano i bias, soprattutto nei processi decisionali aziendali, può fare la differenza tra il successo e il fallimento di un’impresa.
Cos’è un Bias? Necessità o problema?
In modo molto semplificato, possiamo definire un bias come un pregiudizio o una distorsione cognitiva che porta a una valutazione non obiettiva di una persona, un evento o una situazione. I bias sono scorciatoie mentali che il nostro cervello utilizza per elaborare rapidamente le informazioni e prendere decisioni senza doverle analizzare a fondo. Questa semplificazione, sebbene utile, è spesso alla base di errori di valutazione che, nel mondo aziendale, possono minare l’efficacia di un team o compromettere le scelte strategiche.
Partiamo dalle basi: ogni giorno siamo sommersi da una quantità immensa di informazioni che il nostro cervello non può processare in modo completo. Per ottimizzare i propri sforzi cognitivi e risparmiare energia, il cervello compie un lavoro continuo di selezione, scegliendo di focalizzarsi solo su una parte di esse.
Questo processo, che in psicologia viene chiamato sistemi di pensiero automatico, è una modalità di funzionamento che, in situazioni di alta complessità o stress, porta spesso ad adottare risposte rapide e superficiali (che – spoiler! – non sempre sono quelle più adatte o giuste).
Così dicendo, si potrebbe pensare che i bias siano qualcosa di negativo di default, qualcosa da evitare a tutti i costi. Se ci fermiamo un momento a riflettere, in realtà possiamo notare che il cervello che utilizza i bias non sta facendo altro che cercare di rendere più rapide le sue decisioni.
Non c’è nulla di male nel semplificare, in un mondo che richiede risposte immediate. Se un individuo è costantemente sottoposto a una grande mole di informazioni, il pensiero automatico può rivelarsi utile per non essere sopraffatto dalla complessità. È solo quando questi bias vengono applicati in modo sistematico e incontrollato che possono diventare problematici.
Uno degli autori che ha esplorato profondamente questa dinamica è Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia, che ha sviluppato la teoria dei due sistemi di pensiero di cui abbiamo già parlato.
Sintetizzando al massimo, il Sistema 1 è il pensiero veloce, intuitivo e automatico, che si attiva quando siamo sottoposti a situazioni familiari o quando dobbiamo prendere decisioni rapide. Il Sistema 2, invece, è il pensiero lento, riflessivo e analitico, che entra in gioco quando siamo chiamati a compiere scelte più complesse.
Il problema principale oggi, soprattutto nelle aziende, è che il Sistema 1 prende il sopravvento troppo frequentemente e, quando questo accade, le decisioni rischiano di essere influenzate da pregiudizi e stereotipi.
I bias più comuni nei team e nelle organizzazioni
In un contesto aziendale, i bias si manifestano in vari modi, sia a livello individuale che collettivo. Tra i bias più comuni che emergono nei processi decisionali dei team di lavoro e nelle organizzazioni possiamo citare per esempio il bias di Conferma, cioè latendenza a cercare e privilegiare informazioni che confermino le proprie convinzioni preesistenti. In un contesto aziendale, ciò significa che un leader o un team potrebbe concentrarsi solo sugli aspetti positivi di una nuova strategia, ignorando eventuali segnali di avvertimento che potrebbero suggerire il contrario. Questo bias può impedire l’innovazione e limitare la capacità di vedere soluzioni alternative.
Ricordiamo anchel’effetto alone: si verifica quando una qualità positiva (o negativa) di una persona o di una situazione influisce sulla valutazione globale. Ad esempio, in fase di selezione del personale, nella valutazione di un CV un candidato che ha frequentato una determinata università potrebbe essere automaticamente giudicato più competente, mentre uno che proviene da un istituto ritenuto dal valutatore meno prestigioso potrebbe essere valutato negativamente senza una reale giustificazione. Questo effetto è un esempio pratico di come un bias possa influire negativamente sul processo decisionale.
Non dimentichiamo, tra i vari bias, anche gli stereotipi: sono rappresentazioni semplificate e generalizzate di gruppi di persone. In azienda, questo bias si può manifestare quando si associa un certo comportamento o una certa competenza a specifici gruppi di persone, come nel caso del “stereotipo dell’ingegnere“, che potrebbe essere visto come un individuo poco creativo, quando in realtà potrebbe essere una persona capace di proporre soluzioni innovative. Questo tipo di pensiero impedisce la comunicazione tra persone di diversi reparti che, pur avendo competenze diverse, potrebbero apportare un valore aggiunto al progetto.
Ricordiamo anche la generalizzazione, che porta a fare delle valutazioni troppo rapide: se qualcosa è successo una volta, allora è destinato a ripetersi. Ne siamo proprio sicuri?
Come non citare anche il bias di affinità: è la tendenza a favorire persone che ci somigliano o che condividono i nostri stessi interessi e valori. In un contesto aziendale, questo bias può portare a foraggiare determinate persone o gruppi rispetto ad altri, senza una valutazione obiettiva delle loro competenze. Ciò può minare la diversità all’interno di un team e compromettere il potenziale di innovazione e creatività.
Bias e Decision Making: riconoscere e gestire
Prendere consapevolezza dei bias non è sufficiente: questo è spesso il limite di sessioni formative, focalizzate sul cosa sono i bias, senza poi entrare nel merito di cosa fare per modificare favorevolmente le situazioni contingenti.
La vera sfida per le organizzazioni è infatti riuscire a gestirli in modo da prendere decisioni più consapevoli e basate su una valutazione oggettiva. Dunque, come fare all’atto pratico?
Una delle prime azioni che le aziende dovrebbero intraprendere è quella di offrire formazione continua sui bias cognitivi a tutti i membri dell’organizzazione, in particolare ai leader e ai reparti HR.
Questo permetterà di sviluppare una maggiore consapevolezza riguardo ai pregiudizi e agli automatismi che influenzano i processi decisionali quotidiani. Una volta che un individuo riconosce di essere influenzato da un bias, è più probabile che cerchi attivamente di contrastarlo.
Come accennato, il pensiero veloce, pur essendo utile in molte situazioni, può diventare problematico se utilizzato in modo esclusivo. Le organizzazioni potrebbero allora promuovere spazi e momenti dedicati al pensiero lento, ovvero alla riflessione approfondita. Questo potrebbe significare, per esempio, riservare momenti specifici di discussione per analizzare le decisioni importanti, lontano dalle pressioni quotidiane e dalla fretta.
Un altro aspetto fondamentale è quello di promuovere una cultura aziendale in cui le decisioni siano basate sulla verifica dei fatti e sull’analisi critica. Questo implica evitare il bias di conferma e incoraggiare la ricerca di informazioni che contraddicano le convinzioni iniziali.
Un modo concreto per farlo potrebbe essere per esempio l’introduzione di metodologie basate su dati (data-driven decision making), che favoriscano scelte oggettive rispetto alle impressioni personali.
DevOnD propone proprio corsi specifici di DDDM (data driven decision making), al fine di aiutare a capire come prendere decisioni attraverso l’uso dei dati, generando vantaggi concreti per le aziende. La preponderanza dell’uso dell’istinto e di scorciatoie di pensiero viene messo da parte, in favore della razionalità e dell’evidenza oggettiva delle informazioni.
Questi “nuovi” percorsi mentali basati su basi scientifiche aiutano a fare scelte anche riuscendo ad immaginare scenari futuri, sempre partendo da fonti oggettive.
Un altro concetto da tenere a mente è che la diversità, in tutte le sue forme, è un antidoto naturale contro i bias. Gruppi di lavoro più eterogenei (sia per background culturale, esperienze professionali che per stili di pensiero) sono in grado di prendere decisioni più equilibrate e meno influenzate da pregiudizi. Le aziende dovrebbero quindi puntare a diversificare i propri team e a creare un ambiente inclusivo che valorizzi e rispetti le differenze.
Oltre alla consapevolezza e alla formazione (che DevOnD struttura in maniera personalizzata, calata nel contesto aziendale reale), le organizzazioni possono essere guidate nell’implementare strumenti pratici per mitigare i bias, come l’anonimizzazione nei processi di selezione del personale (ad esempio, rimuovendo informazioni come nome, età, genere e luogo di residenza dai curriculum vitae, proprio come avviene sempre più spesso in Inghilterra negli ultimi anni) per focalizzarsi maggiormente su competenze ed esperienze.
Consigliata anche l’adozione di sistemi di valutazione a 360 gradi, che permettano di ottenere feedback da diverse persone e ridurre così il rischio di valutazioni parziali.
Il ruolo dei leader nel contrastare i bias
Gestire i bias richiede un cambiamento profondo nel modo di pensare e operare. Le aziende devono sviluppare una cultura della consapevolezza che riconosca i bias come una parte inevitabile del processo decisionale umano ma che, al contempo, ne limiti l’impatto negativo attraverso pratiche e strategie consapevoli.
Prima di tutto, è fondamentale che i membri di un’organizzazione (specie le figure apicali) siano formati sui vari tipi di bias e sulle loro implicazioni. Solo una volta che un individuo diventa consapevole dei meccanismi che governano il suo pensiero, è in grado di riconoscere i momenti in cui sta applicando una scorciatoia mentale e fermarsi a riflettere più profondamente.
Il vero problema non sta infatti nell’assenza o presenza di pregiudizi ma nel non essere consapevoli della loro azione e nel non fare nulla per limitarne l’impatto.
Ai leader aziendali spetta dunque il compito di educare i propri team a riconoscere i bias, di creare un ambiente che favorisca il pensiero critico e analitico e di promuovere pratiche che riducano l’influenza dei pregiudizi nei processi decisionali. È solo così che le organizzazioni potranno prendere decisioni più informate, efficaci e giuste, migliorando non solo il loro successo economico ma anche il benessere e la soddisfazione dei propri collaboratori.






