Nella nostra esperienza professionale ci imbattiamo frequentemente in concetti chiave che possono risultare di difficile comprensione o applicazione, non per mancanza di capacità da parte degli interlocutori ma per ragioni legati alla lingua e alla cultura organizzativa in cui operano.
Uno di questi concetti è quello di “accountability”: spesso tradotto superficialmente come “responsabilità” o “capacità individuale”, in realtà il termine porta con sé una ricchezza di significati molto più articolata, che richiede uno sguardo attento e una riflessione profonda per essere compresa e, soprattutto, vissuta e applicata.
L’accountability non è una semplice competenza, né può essere ridotta a un atteggiamento generico di responsabilità. Si tratta, piuttosto, di un vero e proprio stato mentale, di una “postura professionale” che orienta il modo di lavorare, collaborare, contribuire e relazionarci all’interno di un’organizzazione.
Ed è proprio su questo approccio che vogliamo riflettere oggi: su ciò che rende una persona accountable (indipendentemente dal suo ruolo gerarchico) e su come questo possa tradursi in valore per sé e per il proprio team.
Nel contesto italiano, l’idea di accountability incontra subito due ostacoli significativi: linguistico e culturale.
Da un punto di vista linguistico, non esiste una parola italiana che catturi completamente il significato di “accountability”. Termini come “responsabilità” o “impegno” ne colgono solo una parte ma in realtà il concetto va oltre: implica non solo il fare ciò che ci compete ma anche il preoccuparsi del risultato collettivo, interrogarsi sul proprio contributo e agire in modo proattivo in vista di un obiettivo comune.
Sul frangente culturale, l’accountability è molto più presente e integrata nelle pratiche manageriali e nei modelli organizzativi anglosassoni. In quei contesti, l’idea che ogni lavoratore debba rendere conto (anzitutto a sé stesso) non solo del proprio operato ma anche degli effetti del proprio operato sugli altri è profondamente radicata. In Italia, al contrario, le organizzazioni tendono a essere più verticali e la responsabilità viene spesso percepita come qualcosa che “appartiene” ai livelli alti della gerarchia. Senza voler generalizzare troppo, questo porta a una sorta di deresponsabilizzazione diffusa, in cui ci si limita al “compitino” e si evita di “mettere il naso” fuori dal proprio perimetro operativo.
Essere accountable significa esattamente il contrario, come stiamo per vedere.
Accountability come state of mind
Possiamo allora provare a definire l’accountability come un atteggiamento mentale proattivo: un’attenzione costante al contesto in cui operiamo, al ruolo che svolgiamo, agli effetti delle nostre azioni e alle interconnessioni con il lavoro altrui. In altre parole, essere accountable significa essere sul pezzo, stare con le antenne dritte, captare ciò che succede attorno a noi e domandarci, con sincerità e senza paura: “Sto facendo tutto il possibile per contribuire al risultato? Ho qualcosa da migliorare nel mio operato? Come posso supportare gli altri per raggiungere insieme il traguardo?”
Questo approccio non è riservato solo ai leader o ai manager; al contrario, sarebbe auspicabile che riguardasse chiunque faccia parte di un’organizzazione: ogni lavoratore può (e dovrebbe) allenarsi a pensare in termini di accountability.
Il lavoro moderno è infatti, quasi sempre, un lavoro interdipendente: nessuno porta a termine il proprio compito in modo completamente isolato. Ecco perché è fondamentale che tutti sappiano percepire ciò che accade attorno a loro, interrogarsi sul proprio impatto (ma anche sull’impatto delle mansioni altrui sulle nostre) e, se necessario, agire per aiutare il team nel suo complesso.
Proattività e consapevolezza: i due pilastri dell’essere accountable
Un altro aspetto essenziale dell’accountability è dunque la sua natura proattiva.
Non si tratta solo di essere responsabili “a posteriori” (quando cioè qualcosa va male o bene) ma di essere attivamente coinvolti nel far sì che le cose funzionino nel migliore dei modi.
Questo significa, ad esempio, non limitarsi a svolgere il proprio compito in modo corretto ma notare se qualcosa non sta funzionando nel processo globale e fare domande.
“Cosa sta succedendo nel mio team? Posso aver contribuito, anche involontariamente, a un problema? Posso offrire una soluzione o un supporto?”
È questo continuo ascolto del contesto, questa attenzione al sistema, che rende una persona veramente accountable.
Non basta perciò fare bene la propria parte: essere accountable significa anche interessarsi a come il nostro lavoro si inserisce nel lavoro degli altri; significa sentirsi parte di un processo condiviso e agire in modo tale da favorirne l’efficacia.
Il ruolo del leader: essere un “moltiplicatore” di accountability
Se questo vale per tutti i membri di un team, è evidente che chi ricopre un ruolo di leadership ha una responsabilità aggiuntiva: il leader non solo deve essere il primo a incarnare l’approccio accountable ma deve anche creare le condizioni affinché il team possa adottarlo.
Un leader accountable:
- Condivide responsabilità e successi.
- Prende su di sé le difficoltà, evitando di scaricare la colpa sui singoli.
- Ascolta, favorisce la trasparenza e invita tutti a contribuire con idee e osservazioni.
- Offre una visione d’insieme, rendendo ogni collaboratore consapevole del proprio impatto.
In pratica, il leader diventa un “moltiplicatore” di accountability: agendo in modo coerente e autentico, stimola i collaboratori ad assumere la stessa postura mentale. E quando l’intero team comincia a pensare e agire in questo modo, i risultati non tardano ad arrivare: maggiore coesione, più efficienza, meno conflitti inutili, maggiore capacità di adattamento.
Accountability a tutti i livelli: dall’impiegato al dirigente
L’errore più comune è infatti pensare che l’accountability riguardi solo chi “prende le decisioni”. In realtà, l’approccio accountable è applicabile a qualsiasi livello organizzativo; facciamo degli esempi concreti: un impiegato che, notando una notizia di settore rilevante, la condivide con i colleghi, sta esercitando accountability.
Un tecnico che si accorge di un’anomalia e la segnala subito per evitare problemi futuri, è accountable.
Una segretaria che, pur non essendo direttamente coinvolta in un progetto, coglie segnali di tensione e li riporta con tatto, sta contribuendo all’efficacia del team.
In questo senso, potremmo vedere l’accountability come una forma di intelligenza collettiva: è la capacità di ogni singolo di percepire il sistema, comprenderne i bisogni e offrire il proprio contributo anche quando non strettamente richiesto.
Sin qui la teoria; nella pratica, è davvero possibile per tutti intervenire nel proprio contesto o ci sono limiti “caratteriali” o gerarchici che lo impediscono? Possiamo dire che questo, come stiamo per scoprire, è un atteggiamento che si può allenare.
Si può imparare ad essere accountable?
La buona notizia è che, pur essendo legata a caratteristiche come empatia, ascolto e spirito collaborativo, l’accountability non è un talento innato. È infatti un atteggiamento che si può apprendere, allenare e rafforzare nel tempo, proprio come un muscolo.
Non esistono tecniche rigide o protocolli precisi ma ci sono alcune soft skills che – se opportunamente introdotte e coltivate – facilitano enormemente lo sviluppo di un mindset accountable:
- Ascolto empatico: saper cogliere il non detto, mettersi nei panni degli altri.
- Visione sistemica: vedere oltre il proprio compito, comprendere il disegno più ampio.
- Proattività: prendere l’iniziativa senza attendere sempre istruzioni.
- Responsabilità personale: essere coscienti del proprio impatto e agire con intelligenza e buonsenso.
- Collaborazione: lavorare per il “noi” e non solo per il “me”.
In un mondo del lavoro sempre più dinamico, dove la collaborazione e l’interdipendenza sono la norma, sviluppare queste competenze non è più un’opzione ma una necessità: le aziende più evolute lo hanno già capito.
Acquisire l’Accountability come cultura organizzativa
Infine, è importante sottolineare che l’accountability non è solo una questione individuale ma anche – e probabilmente soprattutto – una questione culturale. Le organizzazioni che promuovono la trasparenza, il dialogo, la condivisione di visioni e l’apertura all’ascolto creano un terreno fertile per lo sviluppo dell’accountability. Al contrario, ambienti dominati dalla paura dell’errore, dal controllo e dalla chiusura, inibiscono la crescita di questa mentalità.
Condividere informazioni, aprirsi a visioni diverse, rendere partecipi i membri del team degli sviluppi strategici o delle sfide in atto: non è una perdita di tempo ma un investimento culturale. È così che si costruisce una squadra che sente il progetto come proprio, che lavora con passione, che prende l’iniziativa.
In qualità di azienda di formazione, crediamo che l’accountability sia uno degli asset più strategici che un’organizzazione possa sviluppare. Per questo motivo, accompagniamo le persone, i leader e i team in percorsi formativi pensati proprio per allenare questo approccio mentale.
Lo facciamo attraverso sessioni formative dedicate all’accountability, in cui si lavora sui comportamenti, sugli atteggiamenti e sulle soft skills collegate; moduli di people management, in cui i leader imparano a diffondere la cultura dell’accountability nel team; percorsi trasversali su responsabilità personale e competenze relazionali che preparano il terreno per un mindset più maturo, consapevole e collaborativo.
La convinzione è che essere accountable non significa essere perfetti ma presenti, coinvolti, consapevoli e orientati al bene collettivo.
In un tempo in cui il cambiamento è continuo e la complessità è la norma, non possiamo permetterci di lavorare in modo isolato, passivo o superficiale: dovremmo tutti assumerci il compito di essere parte attiva di ciò che accade.