Lo scorso mese abbiamo iniziato a parlare di Comunicazione Nonviolenta, un approccio empatico e non giudicante che può rivoluzionare il clima in azienda, così come in qualsiasi contesto lavorativo e sociale.
Oggi vorremmo approfondire l’argomento, analizzando i primi due pilastri su cui posa questo strumento che trasforma il conflitto o il disagio in connessioni profonde tra esseri umani.
Il punto focale da cui partire è l’instaurare un dialogo proficuo; per fare ciò è necessario comprendersi, abbandonando preconcetti e giudizi. Come si fa in concreto?
Riallacciandoci al precedente articolo, andiamo a riassumere sinteticamente quali sono i 4 pilastri della Comunicazione Nonviolenta:
- Osservare senza giudicare
- Riconoscere i sentimenti e saperli esprimere
- Presa di coscienza dei bisogni
- Riuscire a fare richieste.
Andiamo quindi ad analizzare il primo passo, la base da cui partire in questo viaggio che è interiore, non solo comunicativo.
1) Osservare senza giudicare: si inizia da qui
È importante che, qualsiasi sia la situazione da gestire, la si vada ad accettare e ad analizzare abbandonando l’atteggiamento giudicante.
Nel cercare di comprendere i meccanismi della relazione, bisognerebbe evitare di esprimere delle valutazioni, provando a diventare per lo più descrittivi.
Esporre ciò che accade in maniera più oggettiva e distaccata possibile permetterà di risolvere più in fretta il conflitto, poiché a parlare saranno i dati, spogliati da implicazioni emotive.
In questa fase, soprattutto, si dovrà evitare di voler già interpretare ciò che si sta presentando.
Fondamentalmente, siamo chiamati a osservare la situazione, avendo cura di non voler imprimere la nostra opinione attraverso ipotesi o addirittura verdetti sommari.
Molto spesso, infatti, siamo portati a crearci teorie sulla base di giudizi morali o applicando etichette; è comprensibile, è una sorta di semplificazione che opera il nostro cervello per “organizzare” e capire ciò che sta succedendo, agendo per similitudini (paragonando per esempio a eventi del passato) o per sentimenti personali.
Tuttavia, è proprio questa modalità di pensiero che genera rabbia, frustrazione, preconcetto: tutte circostanze interiori che immancabilmente si riversano nella dinamica lavorativa o sociale, creando contrasto o incomprensioni.
Ecco allora che l’analisi dello scenario in maniera “asettica”, quasi scientifica, avulsa da valutazioni soggettive, consentirà di vedere chiaramente cosa non funziona.
Dal punto di vista pratica, potrebbe essere una buona idea mettere nero su bianco l’elenco di ciò che possiamo osservare, in modo lineare, particolareggiato e descrittivo.
2) Identificazione dei sentimenti ed espressione di essi
Ecco ora arrivato un momento cruciale: quello dell’entrare in connessione con ciò che sentiamo.
Con onestà intellettuale, mettiamo a fuoco i sentimenti che proviamo cercando di definirli in maniera specifica. Non basta dire “Sono arrabbiato/a” ma è necessario indagare in noi stessi per capire se è davvero rabbia o piuttosto delusione, frustrazione, senso di impotenza o chissà quale altro sentimento che nell’arrabbiatura vede solo una manifestazione esteriore e oseremmo dire “primordiale”.
Allo stesso modo, un “Sono felice” può significare tanto di più: sono soddisfatta di un lavoro consegnato; sono gratificata per l’approvazione del capo; sono euforica perché lavorerà proprio il/la collega con cui ho più feeling; sono sollevato per aver risolto questioni personali…
È chiaro che dietro una singola parola c’è sempre un mondo di emozioni e di sentimenti che talvolta tendiamo ad appiattire e che invece – grazie alla Comunicazione Nonviolenta – possiamo riconoscere e quindi evidenziare.
Da un punto di vista pratico, una volta individuata la vera natura di ciò che proviamo, possiamo passare all’esprimerlo utilizzando sempre la prima persona singolare.
Nel farlo, sarà fondamentale evitare – anche stavolta – giudizi di tipo morale e paragoni con altre situazioni: bisogna restare “ancorati” a sé stessi, nel riconoscimento del proprio stato d’animo. Questo consentirà infatti non solo di conoscersi meglio ma soprattutto di prendersi le proprie responsabilità rispetto a come ci si sente.
Sono io l’origine e il centro dei miei sentimenti: tutto ciò non dipende dalle altre persone che agiscono nella circostanza analizzata.
Se ciascuno riuscisse ad applicare questo principio, il team ne gioverebbe istantaneamente perché ognuno si renderebbe protagonista del cambiamento positivo.
Verso una nuova consapevolezza
Questi primi due step aiutano a capire con onestà come siamo noi singolarmente e cosa sentiamo, senza incolpare nessuno delle nostre sensazioni.
Se impareremo a farlo, automaticamente ci collocheremo a un livello empatico alto, tale da riuscire a comprendere anche gli altri ed è qui che scatta “la magia”: il conflitto si depotenzia.
Per risolverlo, però, occorre andare ancora avanti, verso l’individuazione dei bisogni (propri e altrui) e l’esternazione delle richieste. Questi sono infatti gli altri due pilastri della Comunicazione Nonviolenta, di cui parleremo nel nostro prossimo appuntamento qui sul blog.
Non è semplice riuscire a mettere in pratica questi princìpi in modo automatico e naturale, perché non siamo abituati a farlo spontaneamente e perché forse non ci abbiamo mai riflettuto profondamente.
Soprattutto all’inizio, poter contare su una guida che sappia condurre il ragionamento spingendoci ad analizzare senza giudicare è importante.
Non solo: trovare la chiave comunicativa giusta per esprimere i sentimenti, mettendo da parte i pensieri, non è così intuitivo come ad alcuni potrebbe apparire.
Per questo è consigliabile avvalersi della professionalità di formatori esperti per iniziare ad applicare la Comunicazione Nonviolenta nel proprio team e nella propria quotidianità: DevOnD può essere il tuo alleato per iniziare a rivoluzionare dinamiche lavorative e interpersonali.